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venerdì 4 giugno 2010

Federal Reserve, fine della politica del "denaro facile"?


Cosenza (Italy), 4 Giugno 2010

Nel mio ultimo post sottolineavo come importanti banche d’affari ritengano probabile un aumento dei tassi di interesse europei solo alla fine dell’anno, mentre negli Stati Uniti non prima dell’inizio dell’anno prossimo.
I motivi generalmente addotti sono la crescita economica globale ancora debole, l’elevata disoccupazione e la scarsa volontà delle banche di prestarsi denaro, il che conduce a picchi di carenza di liquidità in specifici momenti dell’anno.

Di fronte a commenti così prominenti, mi sono limitato a far notare che i tassi interbancari LIBOR siano saliti nelle ultime settimane, tanto da risultare sistematicamente superiori ai Fed Fund Target Rate fissati dalla Banca Centrale USA. Per questo motivo, avanzavo l’ipotesi di un aumento dei tassi di interesse prima del previsto.
Questa interpretazione, del tutto pionieristica (!) fino a qualche giorno fa, trova oggi riscontro in commenti ufficiali apparsi sulla stampa internazionale!
  • 3 Giugno, CNBC “Increasingly Hawkish Fed Ponders Raising Rates”: nell’articolo si sostiene che banchieri centrali statunitensi siano innervositi dal fatto di tenere i tassi di interesse troppo bassi per troppo tempo, soprattutto considerati i recenti problemi legati al debito europeo. Poiché l’economia statunitense guadagna terreno e i mercati finanziari possono contare sempre più su un’economia reale forte, non ci sarebbe più bisogno di tenere tassi di interesse così bassi. Per questo motivo, Thomas Hoenig, Presidente della Fed di Kansas City, sostiene che la Banca centrale USA dovrebbe alzare i tassi da circa lo zero all’un per cento entro la fine dell’estate (cfr. “Three top Federal Reserve officials said on Thursday it may soon be time to begin raising interest rates as the economic recovery in the United States gathers momentum, despite persistently high unemployment. Thomas Hoenig, president of the Kansas City Fed, argued the U.S. central bank should raise benchmark borrowing costs from near zero to 1 percent by the end of summer”). Dello stesso avviso sia il Presidente della Fed di Atlanta, Dennis Lockhart (cfr. “WRAPUP 2-Increasingly hawkish Fed ponders raising rates”), sia il Presidente della Fed di Dallas, Richard Fisher, il quale aggiunge che fra gli strumenti per razionare il credito non vi è solo l’innalzamento dei tassi di interesse, quanto anche la vendita di titoli in portafogli (cfr. “Fed's Fisher: Need for tightening getting closer”).
Quest’ultima osservazione è senz’altro corretta dal punto di vista teorico, ma – a mio avviso – non nelle conseguenze pratiche: infatti, una vendita di titoli produrrebbe una caduta delle quotazioni e un restringimento del credito; al contrario, un innalzamento dei tassi di interesse potrebbe essere meglio assorbito dai mercati finanziari poichè già oggi gli operatori si scambiano denaro ad un tasso più elevato di quello deciso dalla Fed.

Forse questo è il motivo per cui i principali indici internazionali sui future sono al ribasso?

NB: Interessante notare un errore su CNBC 4 Giugno “Kaminsky's Call: Position Your Portfolio for Higher Rates”, in cui si dice che nonostante sia consigliabile posizionare il proprio portafoglio in vista di maggiori tassi di interesse, i manager di fondi speculativi stanno al momento scommettendo invece contro un aumento di essi (cfr. “Fund managers are still betting against a rise in interest rates”). In realtà, proprio il fatto che i future siano in calo indica esattamente l’opposto, cioè che le aspettative di tassi di interesse futuri sono in aumento!

Matteo Olivieri
>> Le informazioni qui contenute non (!) costituiscono sollecitazioni ad investire.

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