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martedì 8 giugno 2010

Inflazione o deflazione? "Elementare, Watson!"


Cosenza (Italy), 8 Giugno 2010

Volatilità dei mercati alle stelle da un anno a questa parte (cfr. CBOE MKT VOLATILITY IDX), pessimismo degli investitori dilagante (cfr. FAZ), dichiarazioni nefaste da parte delle principali istituzioni internazionali (cfr. Reuters 8 Giugno "Bernanke says Europe committed to euro's survival") e aumenti allarmati nei differenziali di tassi rispetto ai titoli decennali tedeschi (cfr. IlSole24Ore, 8 Giugno "Borse europee giù. Oro record a 1.254 dollari. Si ampliano ancora gli spread tra BTp e Bund").

Sono questi gli elementi che stanno caratterizzando le vicende internazionali in questi primi giorni di Giugno.
Ad allarmare di più non è tuttavia la situazione del debito di molti paesi europei, ma - a quanto si deduce da un sondaggio apparso sul Frankfurter Allgemeine Zeitung - dalle prospettive di inflazione, nuovamente in salita.

La qual cosa assume un interesse particolare, poichè gli economisti sono piuttosto confusi dai segnali contraddittori provenienti dai mercati: USA, Europa e Giappone sembrano vicini ad una deflazione (cfr. The Economist "Global economic policy, The deflation dilemma"), mentre i mercati emergenti sembrano invece in bilico rispetto ad una ripresa vigorosa dell'inflazione, anche dovuti alla crescita del prezzo di alcune materie prime come oro e di diversi prodotti agicoli (caffè, zucchero, cotone, ecc.).


Dunque inflazione o deflazione? Come è possibile spiegare queste apparenti (!) contraddizioni?
Da un punto di vista economico le due cose non sono incompatibili, soprattutto ricordando che l'inflazione è generalmente associata a uscite finanziarie superiori alle entrate finanziarie. Per questo motivo, inflazione è sinonimo di indebitamento netto verso il resto del mondo, mentre deflazione è sinonimo di crediti netti verso il resto del mondo....esattamente quello che sta succedendo in Giappone, Stati Uniti, e paradossalmente anche in Europa, che pur afflitta da problemi di debito, in realtà sta assistendo ad un sistematico deflusso di valuta verso altre parti del mondo (tipicamente le c.d. "economie emergenti") (cfr. Bloomberg 8 Giugno "Banks in ‘Downward Spiral’ Buying Capital in CDOs (Update1)".
Dunque, il rischio è che i bassi tassi di interesse nei paesi sviluppati causino una uscita di capitali verso altri paesi, finendo tuttavia per destabilizzarne le economie.

Al riguardo The Economist è esplicito: "Add all this together and the world’s big three central banks—in America, the euro zone and Japan—should worry most about falling prices. The scale of budget belt-tightening suggests these banks’ policy rates could stay way down for several years. But this will cause problems elsewhere. Near-zero interest rates in the big, rich economies send capital flooding elsewhere in search of higher yields, making it harder for the healthier countries to keep their economies stable. Helps here, hurts there. The problem will be most acute in emerging economies. Many are already overheating, with prices rising and asset bubbles inflating. Most have inappropriately loose monetary policy. Real interest rates are negative in two-thirds of the 25 emerging economies tracked by The Economist. Their inflation expectations are less stable, so prices can quickly spiral upwards. This suggests a need for tighter monetary policy. Central banks in Brazil, Malaysia and elsewhere have begun. But the most important emerging economy, China, pegs its currency to America’s dollar, which limits its ability to raise interest rates. And even those with more flexible exchange rates worry that higher interest rates will send their currencies soaring. In fact, stronger currencies in emerging markets are a necessary part of the “rebalancing” of the global economy that will allow enfeebled rich economies an escape from deflationary pressure. Tighter fiscal policy in emerging economies would help dampen price pressure. Capital controls should be part of their defences, too, against sudden floods of foreign cash. History suggests, however, that none of these policies will be a panacea. When monetary conditions in the rich world are loose, emerging economies are prone to lending binges and asset bubbles. The price of avoiding deflation in the rich world today may be a bust in the emerging world tomorrow".

La conclusione del The Economist è quella da me già segnalata in molteplici occasioni: sarà inevitabile un aumento dei tassi di interesse! Tanto più che ad oggi le banche possono prendere a prestito facilmente denaro dalla BCE all'1% e investirlo in bond a più alto rendimento in giro per il mondo (cfr. The Economist "European banks, Waiting for the big one").
Un aumento dei tassi di interesse verrà avvertito in maniera molto più acuta nei paesi emergenti, poichè lo stoppare le aspettative di crescita dell'inflazione potrà avvenire solo a costo di pagare tassi di interesse ben più alti di quelli nelle economie sviluppate. Detto altrimenti: riuscire nell'intento di combattere la deflazione nei paesi sviluppati, creerà problemi ben più gravi di inflazione nelle economie emergenti!
Questo ovviamente implica pure che aumenterà il divario tra Nord e Sud del mondo, ovvero che si potrà assistere ad uno scenario caratterizzato da alcuni paesi sistematicamente creditori ed altri sistematicamente debitori verso il resto del mondo! Fino a quando questo scenario sarà sostenibile?

Come spesso succede, le opinioni in merito divergono: alcune sono favorevoli a questo approccio (cfr. CNBC 7 Giugno, "Markets About to Turn Nasty, Buy Barbed Wire: Advisor"), altre contrarie (cfr. CNBC 8 Giugno "Interest Rates to Stay Low for 'Some Time': Fed's Evans"). In ogni caso, è bene farsi trovare preparati ipotizzando possibili scenari futuri.

Matteo Olivieri
>> Le informazioni qui contenute non (!) costituiscono sollecitazioni ad investire.

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