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sabato 30 luglio 2011

Dr. Matteo Olivieri su Il Quotidiano della Calabria (30/07/2011): "Quale educazione per i futuri leader"


Cosenza (Italy), 30 Luglio 2011

Ecco il mio articolo pubblicato oggi su Il Quotidiano della Calabria, dal titolo "Quale educazione per i futuri leader". Lo stesso articolo, completo di note e indicazioni bibliografiche, è inoltre rinvenibile nel sito internet dell'Osservatorio Alphecca dell'Università della Calabria (http://osservatorioalphecca.unical.it/), previa registrazione degli utenti interessati.


Il COMMENTO
Quale educazione per i futuri leader
 
30/07/2011
di MATTEO OLIVIERI

Nel recente sondaggio della University of Pennsylvania, condotto annualmente su un campione di 6.480 centri studi (c.d. think tank) sparsi in tutto il mondo, dei quali ben 1.757 nella sola Europa, i migliori non sono di provenienza italiana. A guardare ulteriormente, nella classifica riferita alla sola Europa occidentale non vi è neppure traccia di esperienze italiane nei primi venticinque posti. Eppure, i centri studi italiani presi in esame sono novanta, ma nessuno di essi arriva tra i finalisti. La domanda spontanea è: che fine abbiamo fatto?
Creare stabili “serbatoi di conoscenza”
I think tank si sono affermati a livello mondiale come “serbatoi di conoscenza” pubblici o privati di derivazione universitaria ma indipendenti quanto a risorse e strumenti, in cui si approfondiscono singole tematiche di ricerca con un taglio spiccatamente internazionale. Data questa loro peculiarità, è all’interno di essi che molto spesso vengono sviluppate e testate le teorie prima che queste vengano insegnate nelle università e, per questo motivo, i think tank diventano il punto di riferimento obbligato per chiunque voglia specializzarsi in una determinata branca della scienza, o sia alla ricerca delle soluzioni più autorevoli in un particolare settore di interesse. Tornando al nostro sondaggio, come è possibile che non esiste una sola voce italiana autorevole a livello internazionale? Si sa, il fenomeno della “fuga dei cervelli” premia all’estero le eccellenze italiane, ma quello è un fenomeno che riguarda le singole individualità; qui è diverso: si parla di come le singole individualità possano essere organizzate e fatte lavorare insieme in un sistema che crei percorsi duraturi di ricerca. Al momento - questo dice la rilevazione - simili strutture di rilievo internazionale mancano e, con esse, la possibilità di produrre conoscenza stabile che incida sui meccanismi di sviluppo! Il rischio che emerge è che il Sistema Italia nel suo complesso sia destinato a scomparire dalla scena culturale internazionale con la seguente sentenza: “morte per incapacità di organizzazione”. Un bel paradosso, che finisce per confermare il laconico giudizio di Joseph Schumpeter secondo cui, storicamente, il nostro Paese ha sempre avuto “i migliori economisti e la peggiore moneta”. Si dirà che queste rilevazioni lasciano il tempo che trovano, che molte di esse cercano solo il sensazionalismo o di sdoganare per l’ennesima volta una sorta di superiorità culturale dei paesi nordici rispetto a quelli latini. Ma questa volta non pare proprio il caso: la fonte è autorevole e indipendente; nella lista dei finalisti compaiono centri studi sia di paesi in via di sviluppo che di paesi sottosviluppati, e per il sondaggio viene utilizzato un processo a più stadi che coinvolge studiosi di fama, esperti del mondo scientifico e dei media, chiamati a valutare la qualità e l’importanza delle attività svolte da ogni singolo centro studi. Scorrendo la lista, è interessante notare come fra i casi più eclatanti - a fianco di istituti blasonati e di lunga tradizione scientifica - ve ne sono alcuni molto giovani, fondati in paesi (anche europei) dalla recente tradizione accademica, e in condizioni di relativa modestia di risorse. Ma - a quanto pare - questi si sono saputi imporre a livello internazionale per l’efficacia delle posizioni prese, diventando in breve tempo catalizzatori di passione, energia creativa e capacità di dire cose nuove.
Portatori di un messaggio di novità
Già, avere qualcosa da dire: questo sembra essere il punto fondamentale del discorso. Siamo sicuri che abbiamo ancora qualcosa da dire? La mia impressione - lo dico con grande umiltà - è alquanto negativa, almeno a giudicare dal fatto che la recente riforma universitaria italiana ha richiesto di introdurre per legge quei cambiamenti organizzativi che in altre realtà internazionali sono stati il frutto del riconoscimento di una pura necessità funzionale. Piuttosto, come poter essere portatori di un messaggio di novità? Nel dubbio conviene analizzare quello che hanno fatto gli altri, e si vedrà che: 1. le principali business school internazionali, complice la recente crisi finanziaria internazionale, sono state costrette a ripensare il proprio ruolo educativo, ripartendo proprio da quelle soft skills per troppo tempo considerate un relitto del passato (come l’abilità di scrittura e di lettura, la capacità di difendere le proprie tesi e di argomentare efficacemente convincendo l’uditorio, o presentando punti di vista alternativi, ecc.); 2. si fa avanti una richiesta finora latente di giudicare il valore della ricerca non semplicemente dalla lista delle pubblicazioni effettuate ma dall’impatto concreto che queste hanno sui territori; 3. la ricerca puramente quantitativa, costruita intorno a ipotesi rigide, finisce per trasformarsi in un sistema auto-referenziale, incomunicabile e chiuso al grosso pubblico. Tutti elementi che sono stati ben sintetizzati nel messaggio di insediamento del nuovo preside della Harvard Business School, il quale ha sottolineato come si avverta la necessità di programmi che puntino a coltivare negli studenti il giudizio, piuttosto che fornir loro i soli strumenti analitici di base. Insomma, il segreto della felicità non sta tanto nell’insegnare come calcolare, quanto piuttosto nel sapere cosa calcolare: in questo atto, infatti, le persone sono chiamate ad esprimere un giudizio, che li coinvolge con tutte le loro qualità umane. Dunque, per stare al passo coi tempi, pare emergere la necessità di non essere più spettatori della conoscenza altrui, ma piuttosto protagonisti! Solo così si potrà sperare di formare persone di competenza e di carattere, insomma quei futuri leader della società che sappiano ispirare gli altri a realizzare assieme i grandi ideali che animano gli uomini. Pertanto, conviene cominciare a riflettere seriamente sull’efficacia dell’educazione nel nostro paese, e capire quanto siamo in grado di reggere al confronto internazionale in termini di capacità di creare un profilo di persone che sappiano effettivamente guidare la società del domani. La certezza da cui dovremmo essere sorretti è che lo stesso percorso di ricerca di un efficace metodo educativo è stato già intrapreso a livello internazionale, e che - ancora una volta - si ravvisa nell’humanitas la chiave di lettura per interpretare il futuro.
Esiste una speranza per la Calabria?
La rilevazione citata in apertura mostra come paesi partiti da una situazione ben più drammatica di quella calabrese ce l’abbiano fatta: a quanto pare non si tratta solo di una questione di risorse finanziarie, che pur rappresenta una parte fondamentale di ogni percorso culturale credibile, quanto piuttosto di un metodo educativo che sappia valorizzare ogni segno di speranza che è già presente intorno a noi, e lo metta in rete per creare nuove occasioni di sviluppo. In questo senso, la Calabria mi sembra - paradossalmente - in prima linea a livello internazionale: basti pensare alle generazioni di calabresi presenti in tutto il mondo, molte delle quali con ancora vivo il senso della propria terra, e già oggi desiderosi di dare indietro alla propria comunità di origine o alla ricerca di un modo per potersi mettere efficacemente al servizio della propria terra. O ancora, il rispetto che i calabresi hanno saputo guadagnarsi a livello nazionale e internazionale in anni di duro e appassionato lavoro. Tutti elementi che non devono essere dispersi nel vento ma capitalizzati per il maggior benessere di tutti. Sfortunatamente, la motivazione di tante di queste persone si è ridotta in alcuni casi a puro sforzo individuale, in altri casi è stata mortificata da un sistema che sembra volutamente dimenticare come dietro a un rospo si possa celare per incantesimo un principe. Ora è il tempo di riprovare a fare lo stesso percorso intrapreso in passato, ma con una maggiore consapevolezza dei propri mezzi. La mia impressione è che la società civile calabrese non ha saputo esprimere finora tutta la sua potenzialità: probabilmente è mancato un grande progetto educativo, che ha reso vano anche il tentativo di replicare qui in Calabria esperienze internazionali di successo. O forse è mancata la consapevolezza che qualsiasi innovazione porta connaturata in sé una dimensione sociale, in cui ogni persona conta poiché chiunque apporta un proprio bagaglio di esperienze, relazioni e competenze. Non è un caso che ogni volta che le persone siano state chiamate intorno allo stesso tavolo per ragionare insieme in termini operativi, la risposta è stata positiva oltre ogni aspettativa, rendendo attuabile anche quelle idee più ambiziose cui, altrimenti, neppure la figura dell’eroe solitario saprebbe far fronte nonostante gli sforzi titanici.
E’ il tempo delle scelte
Senza dubbio anche la Calabria è posta oggi di fronte a un bivio: o replicare in serie la trasmissione di conoscenze altrui, oppure provare a diventare motori di cambiamento, a partire dalla creatività e dall’intraprendenza che - di certo - non ci mancano. Se riusciremo in questo obiettivo, ci renderemo conto di aver raggiunto allo stesso tempo due scopi: uno di tipo economico, consistente nella capacità di imparare a lavorare insieme e in modo produttivo; un altro di tipo democratico, poiché ci convinceremo del fatto che l’intelligenza non consiste solo nella quantità di informazioni disponibili nel proprio cervello, quanto anche nella capacità di leggere il contesto in cui ci si trova, un dono che appartiene indistintamente a tutti gli uomini, anche a coloro con minore scolarità. Conseguentemente, un sistema educativo moderno dovrebbe essere pensato in modo da favorire l’acquisizione di primarie esperienze di vita ma anche e soprattutto di un metodo di lavoro, che aiuti a orientarsi anche quando le esperienze siano insufficienti. A mio avviso, esistono sulla carta tutte le premesse perché ciò accada; è necessario tuttavia comprendere che non basta la sola tenacia del proprio lavoro per realizzare idee ambiziose, ma che ci siano anche le condizioni favorevoli nell’ambiente in cui si opera. Queste vengono create da chiunque decida di “mettere nel mezzo” (lat. inter-esse) quanto dispone, per il maggior benessere di tutti. Solo così - a mio avviso - saremo in grado di dare un valido aiuto alla nostra terra, consentendo ai tanti studenti che decidono di rimanere o di ritornare in Calabria, di esprimere appieno quelle potenzialità finora inespresse.

- Riproduzione vietata -

Matteo Olivieri
>> Le informazioni qui contenute non (!) costituiscono sollecitazioni ad investire.

venerdì 29 luglio 2011

Trichet: «Scommetti sulla Grecia e perderai il tuo denaro!»


Cosenza (Italy), 29 Luglio 2011

Forse dovrei dire che le recenti parole del Presidente della BCE sono rassicuranti in un momento così triste per le sorti delle economie europee. In un commento rilasciato al giornale francese Le Point, Jean-Claude Trichet ha affermato che scommettere contro la Grecia equivale a perdere sicuramente il proprio denaro. Tanta determinazione è frutto dei risultati del nuovo pacchetto di aiuti alla Grecia e del rinnovato intendimento dei ministri dell'Eurogruppo di evitare a tutti i costi l'insolvenza greca.
Vedi CNBC 28/7 "Bet on Greece Default and You'll Lose: Trichet":
Speculating on Greece defaulting is a sure way to lose money, European Central Bank President Jean-Claude Trichet was quoted as saying in remarks released on Wednesday. Such a speculation would be a sure-fire way of losing money given the decisions taken last Thursday," Trichet told French magazine Le Point, according to a transcript of the interview provided by the ECB. Euro zone leaders agreed on a second, 109 billion euro ($158 billion) package for debt-stricken Greece last Thursday.
Forse...ma io continuo a nutrire i miei dubbi. La ragione sta proprio nelle debollezze congenite di quei meccanismi (vedi l'accordo di Basilea 2) che avrebbero dovuto rendere l'economia mondiale più stabile e ricca. In base all'accordo di Basilea II, un peggioramento del giudizio di affidabilità dei conti pubblici (c.d.downgrade del rating sovrano) ha impatti diretti sulla patrimonializzazione degli intermediari finanziari che detengono i titoli obbligazionari declassati (c.d. sovereign bond). Come la tabella qui sotto mostra, per quei titoli di classe AAA il coefficiente di ponederazione è zero, ma diventa del 20% per i rating compresi tra A+ e A-, per poi aumentare in misura più che proporzionale con l'ulteriore declassamento.

Concretamente, le banche e gli altri intermediari finanziari devono accantonare in bilancio riserve patrimoniali secondo la seguente formula:
ESPOSIZIONE X COEFFICIENTE DA RATING ESTERNO X 8% = REQUISITO PATRIMONIALE
Per questo motivo è evidente che un abbassamento del rating richiederà un aumento dei requisiti patrimoniali (cioè, maggiori accantonamenti) oppure una riduzione dell'esposizione (cioè vendita dei titoli oggetto di downgrade), cosa che tuttavia causa un ulteriore declassamento del titolo sovrano e quindi un ulteriore innalzamento dei requisiti patrimoniali.
A questo punto la domanda è d'obbligo: Trichet mente sapendo di mentire? Non saprei dire...certo è che, volendo prendere le sue dichiarazioni sul serio, ogni aumento dei tassi di interesse aggraverebbe la situazione delle economie europee e quindi il rischio di downgrade del rating. A ben vedere, non è solo il rating delle nazioni europee ad influire sui requisiti patrimoniali, ma di ogni titolo sovrano detenuto in portafoglio dagli intermediari finanziari autorizzati ad esercitare in Europa. Dunque, qualche variabile in gioco potrebbe sfuggire al controllo di Trichet. Oppure che sia questo un modo velato per dirci che la BCE non aumenterà ulteriormente i tassi di interesse a breve termine? Anche su questo aspetto, nutro qualche dubbio.

Matteo Olivieri
>> Le informazioni qui contenute non (!) costituiscono sollecitazioni ad investire.

venerdì 22 luglio 2011

Alcune considerazioni a caldo sul nuovo pacchetto di aiuti alla Grecia


Cosenza (Italy), 22 Luglio 2011

E' di ieri la decisione di un nuovo pacchetto di aiuti alla Grecia  pari a 109 miliardi di Euro. Il documento completo - che io ho letto - è rinvenibile al seguente link. Devo dire che al termine della lettura, ne sono rimasto alquanto perplesso: certo, si parla di numerose misure sia politiche che economiche per aiutare la Grecia, ma il meccanismo continua a ruotare intorno al concetto di "creazione di nuovo debito" per ripagare quello vecchio. Un meccanismo che, a mio avviso, può funzionare solo (!) se i tassi di interesse praticati alla Grecia continueranno ad essere bassi e al di sotto di quelli di mercato oppure continuando ad allungare il periodo di rimborso del credito.
Non solo: nel documento si riconoscono maggiori poteri all'European Financial Stability Facility (EFSF) e all'European Stability Mechanism (ESM), che saranno in grado - tra le altre cose - di ricapitalizzare le istituzioni finanziarie attraverso prestiti a Governi (una versione europea del "matrimonio" tra Governo e Banca d'Italia, cioè tra politica fiscale e politica monetaria?)
"Stabilization tools:
8. To improve the effectiveness of the EFSF and of the ESM and address contagion, we agree to increase their flexibility linked to appropriate conditionality, allowing them to:
- act on the basis of a precautionary programme;
- finance recapitalisation of financial institutions through loans to governments including in non programme countries;
- intervene in the secondary markets on the basis of an ECB analysis recognizing the existence of exceptional financial market circumstances and risks to financial stability and on the basis of a decision by mutual agreement of the EFSF/ESM Member States,
to avoid contagion.
We will initiate the necessary procedures for the implementation of these decisions as soon as possible".
Lo scetticismo - a mio avviso - è d'obbligo. Neppure si capisce il senso dell'articolo FAZ 22/7 "Juncker: „Das ist das letzte Paket“", in base al quale il capo dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker ha dichiarato che si tratta dell'ultimo pacchetto di aiuti: il documento finale si apre proprio con la riaffermazione che i capi di Stato e Governo europei si impegnano a fare tutto il ecessario per assicurare la stabilità finanziaria dell'Euro (vedi: "We reaffirm our commitment to the euro and to do whatever is needed to ensure the financial stability of the euro area as a whole and its Member States").
Eppure, a giudicare dalla rassegna stampa di oggi, non mancano gli entusiasti. Per esempio, FAZ 22/7 "Erleichterung nach dem Euro-Gipfel", in cui si parla di alleggerimento della pressione dei mercati finanziari dopo la conclusione del vertice europeo.

Einigung über Griechenland-Hilfe: Erleichterung nach dem Euro-Gipfel

Una rara voce fuori da coro è invece rappresentata da CNBC 22/7 "Euro Zone Deal Will Not Stem the Tide: Investor", in cui si riassumono più o meno le mie stesse preoccupazioni:
The new rescue plan for Greece will not solve the long-term problems in the euro zone, analysts and investors told CNBC Friday. Euro zone leaders, led by French President Nicolas Sarkozy and German Chancellor Angela Merkel, finally sealed a new rescue plan for Greece on Thursday. The new plan, which gives greater powers to the European Financial Stability Facility (EFSF), could push the country into default on some of its debt. "Watching this, I have mental images of a kid trying to stop the tide getting to his sandcastle on the beach, and another shovelful of sand won't stop the tide coming in again," Jon Moulton, chairman of Better Capital and a well-known British investor, said. "It's all very well saying we will not let this lot go down. They could probably do that for Greece, but could they also do it for Portugal, Spain, Ireland and Italy?" The deal was concluded after months of market worries that the trouble in smaller euro zone economies such as Greece would spread to the larger economies. Key points of the package, which goes hand in hand with a second bailout for Greece, include lowering borrowing costs for everybody that uses the EFSF and giving it the ability to provide credit lines without formal application of restructuring.
Matteo Olivieri
>> Le informazioni qui contenute non (!) costituiscono sollecitazioni ad investire.

giovedì 21 luglio 2011

Giovedi nero a Bruxelles: alcune proposte per salvare l'Euro!


Cosenza (Italy), 21 Luglio 2011

Oggi è il nuovo grande giorno per l'Euro: a Bruxelles è fissato un incontro straordinario tra i capi di Stato e di Governo europei per decidere un nuovo pacchetto d'aiuti alla Grecia, e discutere la situazione generale dell'Euro.
L'appuntamento è preceduto da incontri bilaterali, in cui (pare) Francia e Germania hanno già raggiunto un accordo (vedi Bloomberg 21/7 "Merkel, Sarkozy Find Position on Greek Debt"), per fornire aiuto finanziario pari a circa 110 miliardi di Euro (157 miliardi di Dollari) alla Grecia.
A mio avviso, la parte più difficile riguarda a situazione dell'Area Euro nel suo complesso. In un recente articolo di Bloomberg 21/7 "Euro Bonds May Be the Best Bet to Resolve the European Debt Crisis: View" si dice chiaramente che, per esempio, nel caso italiano, ogni aumento dell'1% sul costo del debito richiede tagli aggiuntivi di bilancio pari a circa 19 miliardi di Euro (27 miliardi di Dollari) per stabilizzare il debito. In questa situazione, il rischio è che la recente "manovra finanziaria" italiana con tagli pari a 83 miliardi di Euro possa non essere sufficiente se continuasse ancora l'incertezza sui mercati finanziari oppure, se i tassi di interesse europei continuassero a crescere in fuuro.
It’s hard to overstate how dangerous these developments are for the euro area and the world. Italy’s debts are about three times more than those of Greece, Ireland and Portugal combined. Even one extra percentage point in borrowing costs would require Italy to cut annual spending by an added $27 billion (19 billion euros) to stabilize its debt burden. To get there, Italy would need to roughly double the austerity measures it passed just last week.
Cosa fare? L'Europa sembra essere arrivata al bivio: se aumenta il costo del denaro, la finanza pubblica dei paesi europei soffrirà del maggior debito; se il costo del denaro rimane stabile, il rischio è quello di un'inflazione galoppante, con conseguente distruzione di ricchezza.
In uno scenario così fosco, in molti invocano la "crescita", qualcuno maggiori spese a favore di investimenti, qualcun altro il ricorso ai bond europei o alla politica fiscale comune europea (da realizzarsi attraverso un super-ministro delle finanze europeo con potere di imposizione fiscale comune a tutta l'Europa). Da parte mia, avanzo alcune proposte, concrete e a costo zero:
  • Rivedere i tassi di conversione tra le singole valute nazionali e l'Euro: a suo utempo, per esempio, il Marco Tedesco e la Lira Italiana non sono stati cambiati alla pari contro l'Euro (a differenza di ciò che invece è accaduto tra Marco Tedesco Occidentale e Orientale a seguito della riunificazione tedesca): questa misura provocherebbe una automatica disinflazione italiana e una maggiore inflazione in Germania, consentendo un riallineamento della bilancia dei pagamenti tra paesi europei, vera causa della persistenza di squilibri nella politica fiscale europea;
  • Consentire una maggiore integrazione del sistema finanziario europeo, togliendo qualsiasi vincolo all'esportazione di capitali o limitazioni al credito anche tra paesi europei: chiunque abbia esperienza del sistema bancario europeo, sa che esistono forti costi di transazione tra singoli paesi (p.e. spese di tenuta conto, bolli e tasse su depisiti, ecc), cosa che causa un rallentamento del credito e tentativi di elusione delle imposte;
  • Rompere il circolo vizioso per cui - per esempio - i titoli del debito pubblico italiani devono essere sottoscritti prioritariamente dal sistema finanziario italiano: questo residuato di protezionismo nazionale comporta un maggior rischio sistemico poichè - replicando quell'"abbraccio mortale" che in passato teneva unito il Ministero del Tesoro alla Banca Centrale - comporta che un downgrade del rating sovrano italiano abbia impatti negativi diretti sul patrimonio delle banche italiane, con potenziali effetti a cascata sull'intero settore industriale di una nazione.
Proposte ardue da realizzare, ne sono ben consapevole: ma l'Unione Europea è nata con lo scopo di creare un "progetto comune", non per mantenere in vita i vari particolarismi degli stati nazionali.

AGGIORNAMENTI

Giovedi 21 Luglio 2011: Interessante proposta del capo della DZ-Bank tedesca Wolfgang Kirsch
contenuta nell'articolo Comdirect 21/7 "DZ-Bank-Chef Kirsch für EU-Finanzausgleich", in cui si propone un meccanismo di "perequazione finanziaria" (c.d. Finanzausgleich) permanente tra paesi europei ricchi e poveri, per far fronte alla necessaria stabilizzazione dei mercati. A suo dire, un simile meccanismo manca nell'architettura monetaria europea.
DÜSSELDORF (dpa-AFX) - Die Schuldenprobleme der Euro-Zone können nach Ansicht von DZ-Bank-Chef Wolfgang Kirsch auf Dauer nur mit einem Finanzausgleich zwischen starken und schwachen Staaten gelöst werden. 'Wir sollten konsequent an einem Regelwerk für einen dauerhaften Transfermechanismus zwischen den Ländern der Euro-Zone arbeiten - analog zum deutschen Länderfinanzausgleich', schreibt Kirsch in einem Gastbeitrag für das 'Handelsblatt' (Donnerstag). 'Ein solchermaßen dauerhaft angelegtes Regelwerk wäre ein essenzieller Beitrag zur Stabilisierung der Märkte. Es ist der fehlende Baustein in der Verfassung des Hauses Europa.'Ein solcher europäischer Finanzausgleich brauche zwei wesentliche Elemente: 'Zwischenstaatliche Transferleistungen werden in den jeweiligen Landesverfassungen mit der Einführung einer Schuldenbremse nach deutschem Vorbild verbunden.' Zudem macht sich Kirsch für die Einführung von Eurobonds stark, also gemeinsam von den Euro-Staaten ausgegebene und garantierte Anleihen. 'Danach kann sich jedes Land bis zu einer Verschuldung von 60 Prozent seines BIP mit einer Garantie des restlichen Euro-Raums refinanzieren', schreibt Kirsch. 'Zusätzliche Schulden müssen ohne diese Garantie finanziert werden, Regelverstöße konsequent mit Sanktionen belegt werden.'
Die aktuellen Probleme vor allem in Griechenland und Portugal werde die Staatengemeinschaft, von der vor allem Deutschland in den vergangenen Jahrzehnten profitiert habe, nur mit zwei Schritten in den Griff bekommen: 'Wir müssen diesen Ländern helfen, ihre Schulden zu reduzieren und die Fehler der Vergangenheit zu bereinigen.' Das sei nicht nur Aufgabe der Finanzbranche, sondern der europäischen Gesellschaft insgesamt. 'Wenn wir alle den Nutzen aus der Euro-Zone tragen, tragen wir auch gemeinsam die Lasten', schreibt Kirsch./ben/DP/stw
Matteo Olivieri
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martedì 19 luglio 2011

Terzo stress-test delle banche europee in circa un anno: il caso italiano.


Cosenza (Italy), 19 Luglio 2011

La EBA-European Banking Authority ha pubblicato i risultai del nuovo stress-test sui bilanci delle banche europee, per valutare l'esposizione a crediti di paesi a rischio di insolvenza.
I risultati, visibili a questo link paese per paese, mostrano come le banche europee siano - in generale - poco indebitate nei confronti di c.d. paesi PIGS (cioè, Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna) e, pertanto, poco esposte a rischi di insolvenza per il credito prestato.
Maggiore risulta invece (ovviamente, !) la percentuale di titoli italiani detenuti in bilancio e, pertanto, si comprendono le preoccupazioni dovute alle recenti turbolenze che hanno interessato l'Italia.
Der Stresstest bringt es an den Tag: Wer finanziert die Schuldenstaaten?
A supporto di ciò, cito l'articolo FAZ 18/7 "Wer finanziert die Schuldenstaaten?", in cui si confermano le mie affermazioni:
Die umfangreichen Datensätze, welche die Europäische Bankenaufsicht EBA am Freitag im Rahmen der Banken-Stresstests veröffentlicht hat, geben erstmals detaillierte Auskunft darüber, welchem Risiko die einzelnen deutschen Banken in der europäischen Schuldenkrise ausgesetzt sind. Das Fazit: Die deutschen Banken hielten vor sechs Monaten, Ende 2010, relativ wenige griechische Staatspapiere mit kurzen und mittleren Restlaufzeiten. Dies erklärt, warum eine Beteiligung der Banken an einem zweiten Rettungspaket für Griechenland nicht annähernd zu dem „substantiellen“ Beitrag führen kann, den sich das Bundesfinanzministerium ursprünglich vorstellte. Irische Anleihen haben deutsche Banken kaum in ihren Büchern, oder sie sind weitgehend abgeschrieben. Im Falle Portugals drohen größere Risiken - ganz zu schweigen von Italien oder Spanien.
Uno sguardo più attento alla situazione italiana rivela come le banche italiane detengano per la maggior parte - nei loro bilanci - titoli del debito pubblico italiano, mentre le principali banche europee vantano crediti nei confronti delle banche italiane (p.e. vedi grafico qui sotto, con la quota riferita alle banche tedesche).
 Der Stresstest bringt es an den Tag: Wer finanziert die Schuldenstaaten?

La situazione che si è venuta a creare è molto "interessante": se il Governo italiano non tiene in ordine la finanza pubblica, le agenzie di rating sono costrette a declassarne il giudizio di affidabilità, cosa che a sua volta provoca effetti negativi (in termini di perdite patrimoniali) prima sulle banche italiane, detentrici di titoli di debito pubblico italiano, e poi sulle banche straniere, che vantano crediti nei confronti delle banche italiane.
Una situazione potenzialmente esplosiva, che rischia di "risucchiare" nel vortice anche altri governi europei. A quanto pare, tenere in ordine i conti pubblici italiani non è più un semplice affare "interno".
Sarà questo il motivo per cui ora anche le banche tedesche sono sotto pressione (cfr. grafico qui sotto, fonte FAZ: Costo dei Credit Default Swaps su selezione di obbligazioni bancarie tedesche e francesi)?

Schuldenkrise: Wachsende Ansteckungsgefahr an den Märkten

Matteo Olivieri
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mercoledì 13 luglio 2011

Ora è ufficiale: «Social Housing» madre di tutte le crisi!


Cosenza (Italy), 13 Luglio 2011

Se ancora qualcuno fosse convinto che è stata la "cattiva finanza" a creare le premesse per una crisi finanziaria mondiale, consiglio di leggere l'articolo di Peter Wallison apparso su The Wall Street Journal del 12/7 "Government-Sponsored Meltdown", in cui si dice esplicitamente che la vera causa è da ricercare nei programmi di edilizia popolare (c.d. social housing) e nelle protezioni politiche alle agenzie governative (p.e. Faennie Mae e Freddy Mac) di cui queste hanno beneficiato. E presenta uno scenario inquietante: nel solo 2008, metà dei crediti concessi negli USA (circa 27 milioni) erano di tipo ipotecario (c.d. mortgage), 12 dei quali iscritti nei libri contabili di Fannie e Fred.
When the Financial Crisis Inquiry Commission (FCIC) reported in January that the 2008 crisis was caused by lax regulation, greed on Wall Street and faulty risk management at banks and other financial firms, few were surprised.
That, after all, was the narrative propagated by government sources since 2008 and widely accepted in the media, in numerous books, and by many commentators. Writing in the New York Times on June 30, for example, Pro-Publica reporter Jesse Eisinger complained that bankers' concerns about excessive regulation under the Dodd-Frank Act did not take account of "the staggering costs of the crisis that the banks led us into."
The notion that the "banks led us into" the financial crisis echoes the narrative of the FCIC's Democratic majority, which placed the blame for the financial crisis on the private sector and dismissed the idea that government housing policy could have been responsible.
According to the FCIC majority report, the government's housing policies—led by the Department of Housing and Urban Development and the government-sponsored enterprises (GSEs) Fannie Mae and Freddie Mac—contributed only "marginally" to the crisis. Moreover, Fannie and Freddie "followed rather than led Wall Street and other lenders" into the subprime and other risky mortgage lending that ultimately caused the financial crisis.
With the publication of "Reckless Endangerment," a new book about the causes of the crisis, this story is beginning to unravel. The authors, Gretchen Morgenson, a business reporter and commentator for the New York Times, and Josh Rosner, a financial analyst, make clear that it was Fannie Mae and the government housing policies it supported, pursued and exploited that brought the financial system to a halt in 2008.
After James A. Johnson, a Democratic political operative and former aide to Walter Mondale, became chairman of Fannie Mae in 1991, they note, it became a political powerhouse, intimidating and suborning Congress and tying itself closely to the Clinton administration's support for the low-income lending program called "affordable housing."
This program required subprime and other risky lending, but it solidified Fannie's support among Democrats and some Republicans in Congress, and enabled the agency to resist privatization or significant regulation until 2008. "Under Johnson," write Ms. Morgenson and Mr. Rosner, "Fannie Mae led the way in encouraging loose lending practices among banks whose loans the company bought. . . . Johnson led both the private and public sectors down a path that led directly to the financial crisis of 2008."
The authors are correct. Far from being a marginal player, Fannie Mae was the source of the decline in mortgage underwriting standards that eventually brought down the financial system. It led rather than followed Wall Street into risky lending. This history does not appear in the FCIC majority report, and Mr. Johnson was not among the more than 700 witnesses the commission claims to have interviewed. Edward Pinto (a former chief credit officer of Fannie Mae, and now a colleague at the American Enterprise Institute) presented the evidence to the commission showing that by 2008 half of all mortgages in the U.S. (27 million loans) were subprime or otherwise risky, and that 12 million of these loans were on the books of the GSEs.
The research he gave the commission also showed that two-thirds of these subprime or risky loans were on the books of government agencies or firms subject to government control. But these facts were left out of the majority report. They did not fit with the narrative that the financial crisis was caused by the private sector,
and they moved the blame uncomfortably close to the powerful figures in Congress who had supported the GSEs and the affordable housing goals over many years—and of course who appointed the majority of the commission.
If that were the end of the matter, we would be dealing solely with a report distorted by partisan considerations. The commission majority's false narrative, however, buttresses the notion that more regulation of banks and other private-sector financial institutions could have prevented the financial crisis—and might be necessary to prevent another one. This was the rationale for the Dodd-Frank Act.  But if government housing policy, and not Wall Street, caused the financial crisis, what was the basis for Dodd-Frank's extraordinary and growth-suppressing regulation on the financial system? This question is particularly trenchant as the country struggles through a seemingly interminable recession, brought on initially by a mortgage meltdown and a financial crisis but possibly extended by the uncertainties and credit restrictions flowing from the most comprehensive controls of the financial system since the New Deal.
The principal sponsors of that Dodd-Frank Act, former Sen. Chris Dodd and former House Financial Services Committee Chair Barney Frank, were also the principal supporters and political protectors of Fannie Mae and Freddie Mac, and the government housing policies they implemented.
It is little wonder then that legislation named after them would place the blame for the financial crisis solely on the private sector and do nothing to reform a government-backed housing finance system that will increasingly be seen as the primary cause of the devastating events of 2008. 
Associated Press
James A. Johnson, former Fannie Mae Chairman
Matteo Olivieri
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martedì 12 luglio 2011

Fine del QE2: perchè ha senso scommettere contro l'Italia (e l'Europa)


Cosenza (Italy), 12 Luglio 2011

Altro giro di vite nella crisi dell'Euro: ora anche l'Italia è entrata nel mirino dei mercati (vedi FAZ 11/7 "Sorgen um Italien belasten Anleihen und Aktien". La situazione sembra essere precipitata all'improvviso, e le autorità di vigilanza italiana (CONSOB), la Banca d'Italia, la BCE e il Governo Italiano si sono mossi prontamente per chiudere la falla.

Nelle ultime ore i differenziali nei rendimenti dei tioli di Stato a 10 anni tedeschi e italiani ha toccato il massimo di 300 punti base, e anche i credit default swaps - indicativi della probabilità di fallimento di uno Stato - segnano un nuovo record (vedi tabella qui sotto, fonte FAZ).

Deutliche Kursverluste: Sorgen um Italien belasten Anleihen und Aktien

Con riferimento all'Italia, così scrive Bloomberg 12/7 "Asian Stocks, Euro Drop as Bond Risk Jumps":
The yield on 10-year Italian bonds rose 15 basis points to 5.83 percent today. The rate surged to 5.68 percent yesterday, the highest in more than a decade, pushing the yield premium investors demand to hold the debt over German bunds to a euro-era record of 301 basis points. Italy, the continent’s third-largest economy, faces 175 billion euros in debt maturities this year and has 1.6 trillion euros of bonds outstanding, the world’s third-largest debt pile after the U.S. and Japan. “There’s no question that the Italian debt situation is under pressure,” said Alex Sinton, a senior dealer at ANZ National Bank Ltd. in Auckland, New Zealand. “There’s still weakness and downside potential for the euro.”
Il momento delicato non riguarda tuttavia solo l'Italia, ma tutta l'Europa e l'Asia: in Germania, per esempio, gli indici azionari sono in caduta libera (vedi grafico qui sotto, DAX a 10 giorni):

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...mentre così viene descritta da Bloomberg 12/7 "Asian Stocks, Euro Drop as Bond Risk Jumps" la situazione a livello mondiale:
Stocks fell, with a global benchmark index set for its biggest three-day loss since March, while the euro weakened to a four-month low against the yen and bond risk jumped amid concern Europe’s debt crisis will worsen.
The MSCI All-Country World Index sank 0.9 percent at 4:04 p.m. in
Tokyo, while the Stoxx Europe 600 Index decreased 1.4 percent. Standard & Poor’s 500 Index futures slid 0.9 percent and Treasuries rallied for a third day. The euro slumped 1.2 percent to 111.21 yen. Italian 10-year bonds retreated for a seventh day. The Markit iTraxx Asia index of 50 investment-grade borrowers outside Japan rose to a nine-month high. The S&P GSCI Index of commodities fell for a third day, led by cotton and oil.
Christine Lagarde, the International Monetary Fund’s managing director, said the body hasn’t yet joined talks on a second Greek bailout package, even as European finance ministers revived the prospect of bond buybacks to ease the nation’s plight. Italy will offer one-year bills today and as much as 5 billion euros ($7 billion) of bonds on July 14 amid a sell-off that sent 10-year yields to the highest in more than a decade.
“People are worried about the negative impact on financial systems as it’s looking more and more like the debt crisis in
Europe will spread from Greece, Ireland and Portugal to bigger countries such as Italy and Spain,” said Yumi Nishimura, a Tokyo-based equity-market analyst at Daiwa Securities Capital Markets Co.
The MSCI index of developed and emerging-market stocks has dropped 3.6 percent in three days, set for its largest three-day loss since March 16. More than nine shares declined for each one that gained on the MSCI Asia Pacific Index, which dropped 1.9 percent. Japan’s Nikkei 225 Stock Average slid 1.4 percent and
South Korea’s Kospi Index tumbled 2.2 percent. The Bombay Stock Exchange Sensitive Index fell 1.3 percent after India’s factory output grew in May at a slower-than-forecast pace.
Questo lascia intuire che la situazione che si è venuta a creare non è casuale, ma conseguenza - a mio avviso - del programma di Quantitative Easing (QE)Il periodo prolungato di bassi tassi di interesse, sta ora creando una situazione esplosiva che rischia di farli schizzare alle stelle.  Quello che i crolli di mercato sembrano suggerirci, è che un maggior tasso di interesse è necessario: allo stesso tempo, esso è nocivo per quelle economie maggiormente indebitate, come quelle europee.

Già in precedenti articoli su questo blog avevo messo in guardia che la fine del QE sarebbe stata accompagnata con tutta probabilità da un aumento del Dow Jones, segno - a mio avviso - che nuovo denaro sta entrando in Borsa negli USA. Poichè la crescita economica è tuttavia ancora fragile, questo denaro non è creato dalla Borsa, ma è evidentemente di provenienza europea.

Il grafico che presento qui sotto (fonte Comdirect.de) mette in relazione l'indice azionario USA ed europeo con il tasso di cambio Euro/Dollaro: esso sembra confermare le mie impressioni!
(linee: nera: Dow Jones; verde: EUR/USD; blu: Eurostoxx 50)

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Matteo Olivieri
>> Le informazioni qui contenute non (!) costituiscono sollecitazioni ad investire.

venerdì 8 luglio 2011

La mossa BCE sui tassi di interesse: decisione pericolosa?

Cosenza (Italy), 8 Luglio 2011

Il nuovo aumento dei tassi di interessi europei deicsi ieri dalla BCE non sorprende più di tanto, almeno a giudicare dalle notizie delle ultime settimane. Ha cominciato la BIS, Banca dei Regolamenti Internazionali (in pratica, la Banca Centrale delle Banche Centrali) sostenendo che i tassi di interesse mondiali devono aumentare per combattere le aspettative inflazionistiche al rialzo (vedi CNBC 26/6 "Interest Rates Need to Rise Globally: BIS"):
Global interest rates must rise to avoid high inflation becoming entrenched, the Bank for International Settlements said on Sunday. It also warned that delaying deficit cuts could risk intensifying the sovereign debt crisis and have grave consequences were investors to lose confidence in a major economy such as the United States. "With the arrival of sharper price increases for food, energy and other commodities, inflation has become a global concern," the BIS said in its annual report. "Tighter global monetary policy is needed in order to contain inflation pressures and ward off financial stability risks." Of the four major central banks, the European Central Bank is the only one which has raised rates since the intensification of the financial crisis in late 2008. Central banks may have to raise rates at a faster pace than previously, BIS said, adding that as long as global growth is robust, food and commodity prices may remain high or even rise further.
Poi, si sono aggiunti sondaggi tra economisti, secondo cui il livello dei tassi di interesse è pronto ad una veloce impennata (vedi FAZ 6/7 "EZB steht vor einer Leitzinserhöhung auf 1,5 Prozent":
Die Europäische Zentralbank (EZB) steht am Donnerstag mit großer Wahrscheinlichkeit vor der zweiten Leitzinserhöhung dieses Jahres. Nach einer Umfrage der Agentur Reuters unter 68 Volkswirten wird der EZB-Rat auf seiner Sitzung mit einer Wahrscheinlichkeit von 85 Prozent den Leitzins von derzeit 1,25 auf dann 1,50 Prozent anheben. Nur wenige Ökonomen erwarten keine Leitzinserhöhung. Die schwedische Reichsbank erhöhte am Dienstag zum siebten Mal in Folge den Zins; er steht nun bei 2 Prozent.
EZB-Präsident Jean-Claude Trichet hatte noch in der vergangenen Woche abermals betont, dass die Zentralbank die Inflationsentwicklung „sehr wachsam“ verfolge. Dies gilt als Signalwort für eine bevorstehende Erhöhung des Hauptrefinanzierungssatzes, zu dem sich Banken bei der EZB Geld leihen können. Im Juni lag die Inflationsrate wie im Vormonat im Durchschnitt des Euroraums bei 2,7 Prozent, bedingt vor allem durch teures Öl und Rohstoffe.

Umfrage: EZB steht vor einer Leitzinserhöhung auf 1,5 Prozent

Ad approfiittarne sembra essere l'economia statunitense, con un Dollaro in recupero (vedi grafico 1, qui sotto) dopo la fine del programma di Quantitative Easing, ed un indice di Borsa Dow Jones altrettanto in recupero (grafico 2 qui sotto).

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Matteo Olivieri
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giovedì 7 luglio 2011

Finalmente una buona notizia: le banche riprendono il credito (ma non ai privati)


Cosenza (Italy), 7 Luglio 2011

A quanto pare, le banche stanno riprendendo a concedere credito alle imprese. Una buona notizia, non c'è dubbio, dopo mesi e mesi di incubi legati al "credit crunch", cioè la stretta del credito. E' il dato che emerge da una delle recenti rilevazioni di mercato (vedi CNBC 6/7 "Banks Are Finally Lending Again—Just Not to You"), in base alla quale emerge che si sa lentamente ritornando al livello di credito pre-crisi: di questo, circa il 50% è rappresentato dal mercato statunitense.
Il problema è che - al momento - non si sa bene a chi le banche stiano prestando denaro: di certo pare non sia "credito al consumo", ovvero credito dato a privati cittadini per acquistare beni di consumo (TV, Hi-Fi, vacanze, ecc.). Piuttosto pare trattarsi di nuovi investimenti aziendali, anche se rimane ulteriormente da vedere come e quanta parte di questo credito si trasformerà in ricavi di vendita e quote di mercato.
Global corporate loan volume hit $1.64 trillion worldwide in the first half of 2011, a 50 percent jump from a year ago and the highest since more than $2 trillion in the first half of 2007, according to Dealogic. The Americas accounted for more than half of the volume and JPMorgan [JPM 40.56 -0.47 (-1.15%) ] was the leading lender, said the research firm.
A quanto pare, infatti, gran parte del credito concesso serve a rifinanziare debiti precedentemente contratti, o a iniziare processi di fusioni aziendali (c.d. mergers), questi ultimi - in genere - molto frequenti quando la liquidità di mercato è scarsa.
The head of leveraged finance at a major commercial lender, who wished to remain anonymous, said that most of the loan activity in those Dealogic figures is related to companies refinancing debt, initiating buybacks or mergers.
Mi sorge il sospetto che la notizia in questione non sia poi così felice come i media internazionali l'hanno prospettata...

Matteo Olivieri
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domenica 3 luglio 2011

Ancora un successo per LEAF!


Cosenza (Italy), 3 Luglio 2011

Ricordate il mio articolo del 6 Maggio 2011, intitolato "Trenta anni di prosperità (a spese del resto del mondo)!"? In esso sostenevo che - a mio avviso - i prezzi delle "materie prime e pregiate [...] sembrano destinati a diminuire nel tempo".
Ecco, ora la prova è arrivata: nei prossimi 30 giorni i mercati verranno invasi (!) fino a 60 milioni di barile di petrolio greggio. Anche la Germania farà la sua parte, prelevando una quota pari a circa il 3% delle proprie riserve strategiche. Ecco l'articolo:
Vedi FAZ 1/7 "„Wir kriegen das Öl schon los“":
Die Internationale Energieagentur (IEA) stellt in den kommenden 30 Tagen bis zu 60 Millionen Barrel (je 159 Liter) Rohöl zur Verfügung (siehe auch:Öl-Aktion der IEA mit mäßigem Erfolg). Von uns aus Deutschland werden davon 4,2 Millionen Barrel kommen. Das ist das größte Angebot in Europa und entspricht knapp 3 Prozent unserer Bestände. [...] Ich bin gespannt, wie sich die Unternehmen verhalten. Bisher haben die Industrieländer erst zweimal ihre Reserven geöffnet: Nach dem Golfkrieg 1991 und nach dem Katrina-Hurrikan 2005. Nach Katrina wurden in Deutschland von den angebotenen Mengen nur 65 Prozent abgenommen. Das ist ein Indiz, dass es damals keine Versorgungsengpässe gab. Hinzu kommt, dass die Mineralölwirtschaft langfristig etablierte Verträge hat. Wenn wir als neuer Anbieter plötzlich auf dem Ölmarkt auftauchen, kann die Industrie nicht das Ruder komplett herumreißen. Wir können auch unsere Vorräte höchstbietend verkaufen, wenn unsere Mitglieder nicht zuschlagen. Wenn es politisch gewollt ist, kriegen wir das Öl schon los, das muss aber die Regierung entscheiden.
AGGIORNAMENTI

Giovedi 7 Luglio: Segnalo l'articolo CNBC 4/7 "Jim Rogers Says He's Shorting 30-Year Treasury", in cui l'investitore e moderatore tv Jim Rogers (ex socio in affari di Warren Buffet) dichiara la sua strategia di investimento del momento: vendere le "posizioni lunghe" sulla curva dei rendimenti USA (titoli a 30 anni e, forse, anche a 5 - 10 anni) e spostarsi su quelle brevi. La motivazione addotta è che non è pensabile prestare denaro al Governo USA al 3,4,5 o 6%.
Nello scenario prospettato da Jim Rogers, la vendita di titoli a 30 anni e la contestuale "copertura" con titoli a minore scadenza, comporta una diminuzione dei rendimenti nel primo caso, ed un aumento nel secondo, uno scenario opposto a quanto da me sostenuto recentemente. Interessante inoltre notare che la strategia di spostarsi verso la "parte breve" (c.d. short tail) della curva dei rendimenti è generalmente accompagnata a periodi di ripresa dell'inflazione, per poter meglio seguire le variazioni nei prezzi dei titoli. Questo non solo non (!) sembra essere il caso, ma rileva - a mio avviso - anche una contraddizione nel pensiero di Jim Rogers, perchè prima si dice scettico riguardo ad una ripresa dell'economia statunitense, e poi dichiara di fatto di scommettere sulla ripresa dell'inflazione statunitense.
Jim Rogers, the noted commodity bull, is shorting the 30-year U.S. government bonds and may consider shorting the 5 and 10-year bonds as well, he told CNBC on Monday. [...] "I cannot imagine or conceive lending money to the United States government for 30-years at 3, 4, 5 or 6 percent —you pick a number — in U.S. dollars," he said. But he acknowledges that Treasury prices could rally further, given growing uncertainties about a U.S. economic recovery. "There may be rallies, I may be forced to cover, I probably will cover somewhere along the line, but I'm short the bond and plan somewhere in the next week, month or year to short a lot of them."
Giovedi 21 Luglio 2011: Una seconda immissione di riserve di petrolio sul mercato viene esclusa dall'IEA-International Energy Agency, secondo cui nessuno dei 28 paesi componenti il consiglio si è espresso a favore di una simile decisione. Il provvedimento, comunque, non dovrebbe impedire a singoli paesi "volenterosi" (p.e. Arabia Saudita) di agire in maniera unilaterale sulle proprie riserve. Vedi CNBC 21/7 "IEA Says Second Release of Oil Reserves Unlikely": 
The International Energy Agency is unlikely to conduct a second release of emergency oil reserves, with none of its 28 member nations asking for such a release, its executive director Nobuo Tanaka indicated on Thursday. It will make an announcement on whether it will release additional oil in a matter of hours, he told Reuters in an interview.
He said the agency would be flexible and would be ready to act and release more oil if necessary. It announced the release of 60 million barrels from emergency stockpiles in June in a temporary step to fill a supply gap caused by disruptions in Libyan output.
The release also followed the failure of leading OPEC member Saudi Arabia to convince other members of the cartel to increase supplies. Tanaka also said Saudi Arabia is expected to increase its oil output by around 200,000 barrels per day to around 10 million bpd this month.The agency, part of the Paris-based OECD, was formed in response to the 1973/74 oil crisis and promotes energy diversity and efficiency.
Matteo Olivieri
>> Le informazioni qui contenute non (!) costituiscono sollecitazioni ad investire.