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martedì 1 febbraio 2011

Federalismo all'italiana: "venti" piccoli indiani


Cosenza (Italy), 1 Febbraio 2011

Trovo francamente noiosi  e di nessun valore i "giochi" della politica italiana, ma se da questi dipende la tenuta dell'attuale Governo, allora credo che un mio parere in merito sia necessario.
A quanto pare, c'è un interesse a far approvare quanto prima tutti i primi decreti attuativi del c.d. "federalismo fiscale" fortemente voluti dalla Lega Nord, pena l'uscita dalla maggioranza di Governo, e la caduta del Governo Berlusconi.
Dopo rinvii, moltitudini di emendamenti presentati dai partiti di opposizione nella Commissione Parlamentare, sembra che si sia in ogni caso in dirittura di arrivo.
La riforma in senso federale della Repubblica Italiana, viene in generale motivata con tre assunti (vedi Luca Antonini su IlSussidiario.net del 23/7/2010 "FEDERALISMO/ Antonini: dalla "spesa storica" ai "costi standard", così elimineremo gli sprechi":
  • Aumentare il grado di responsabilità nell'amministrazione delle risorse pubbliche;
  • Razionalizzare le risorse introducendo dei parametri di confronto fra singole regioni; in particolare, superare il criterio della "spesa storica" introducendo il sistema dei "costi standard": in pratica, lo Stato centrale non firmerà più "cambiali in bianco" per coprire eventuali deficit prodotti dalle amministrazioni locali ("Il criterio della spesa storica è infernale: più spendi e più sei premiato, realizzando così una sorta di incentivo all’inefficienza. Il criterio del fabbisogno standard è invece diretto a identificare il costo efficiente di un servizio, che diventa il parametro in base al quale rapportare le risorse finanziarie autonome");
  • Maggiore efficienza economica dell'amministrazione pubblica vuol dire meno tasse per tutti.
Non ho alcuna pretesa di esaurire la complessità dell'argomento in poche righe, ma alcune considerazioni sono d'obbligo:
  1. E' doloroso constatare come una riforma credibile del "Sistema Italia" non possa avvenire dal "di dentro", ma semplicemente calando dall'alto riforme costituzionali. Questo aspetto è particolarmente rilevante, poichè evidentemente parte dalla convinzione che basta un cambiamento di leggi per modificare i comportamenti umani;
  2. Il problema dei costi standard può essere molto più "evanescente" e "sfuggente" di quanto a prima vista possa apparire. In particolare, su che base dovranno essere calcolati tali costi? Includeranno soli i costi variabili o anche i costi fissi? Se incideranno anche i costi fissi (per esempio, spese di trasporto e approvvigionamento, servizi bancari, spese generali e amministrative come acqua, luce, gas, ecc.), allora nessun taglio sui costi variabili potrà compensare distorsioni sistematiche dovute ai maggiori costi fissi sostenuti nelle regioni povere. Tali domande costituiscono molto più che inutili complicazioni accademiche. Al contrario, vedi l'interessante articolo di Andrea Tardiola "Il ruolo del costo standard nella riforma federalista del welfare" ("Detto questo, tuttavia, la domanda è se i costi standard siano effettivamente determinabili e, in caso di risposta affermativa, in quale tempi e con quali risorse e regole. Intanto partendo da una domanda: sono già operanti oggi criteri di costo standard?")
  3. Considerati pressocchè simili i costi variabili di fornitura di un servizio pubblico (p.e. il costo di una camicia è in media uguale su tutto il territorio nazionale), la vera differenza viene fatta dai costi fissi. In questo, il Sud d'Italia, con il suo gap storico di infrastrutture finisce per pagare un prezzo elevatissimo nel passaggio ad un sistema federale. Non solo: per la costruzione di buona parte delle infrastrutture pubbliche del Mezzogiorno si è voluto dare un preciso segnale di "modernità" fin a partire dall'archittettura che, pensata per essere "avveniristica", ha finito per mostrare la propria natura di "struttura non funzionale", con conseguente necessità di maggiori costi di gestione delle strutture, o di manutenzione continua o, infine, di riconversione. Pensiamo a tutti quei progetti faraonici realizzati con la retorica politica del "Ecco, lo Stato è presente!". Oppure, quanti ospedali, università, porti o aeroporti, tribunali o scuole sono stati costruiti per esempio senza porte o finestre, o richiedono permanentemente di essere illuminate o riscaldate di inverno e raffreddate in estate? Quanti edifici pubblici sono stati costruiti con barriere architettoniche che ne impediscono di fatto la piena fruizione? Tutto ciò rappresenta una fonte mascherata di sprechi...il vero spreco (!), quello che nessuna razionalizzazione di risorse o nessun aumento della tassazione potrà risolvere. In tutto ciò lo Stato è inadempiente, salvo poi chiedere ai singoli comportamenti responsabilizzanti grotteschi, quali spegnere la spia del televisore come modo per salvare il mondo dal disastro energetico.
Tutte questioni che la riforma in senso federale non tocca, salvo poi pretendere di intervenire nelle discussioni economiche con un taglio di spada come il Re Salomone.
Eppure, paradossalmente, proprio quando sempre più persone si dicono convinte che una decisione "decentrata" aiuti a responsabilizzare nell'uso di risorse pubbliche, tanto più si avverte la necessità di un controllo centralizzato che impedisca alle amministrazioni locali di costruire (molto spesso per fini propagandistici!) strutture costose e poco-funzionali, e che invece aiuti a diffondere "buone pratiche" fin dal modo di concepire edifici pubblici.
Ecco un caso concreto tratto dalla mia presentazione "Oltre il PIL: ricchi, quindi felici? Un'analisi critica delle statistiche nazionali" (Università della Calabria, 25 Maggio 2010). Questo esempio non vuole essere esaustivo del problema, ma solo indicativo di come tante volte nel segno della modernità, siano stati compiuti errori odiosi:

Nè il ricorso al "fondo perequativo" nè il richiamo ricorrente all'"Unità" di fondo del paese potrà rispondere fino in fondo a questi interrogativi. Prove ne sono ancora le esperienze fatte in paesi a lunga tradizione federale (vedi Germania), dove il malcontento riguardo alla determinazione e destinazione del fondo perequativo è pressochè una costante della vita pubblica.

Matteo Olivieri
>> Le informazioni qui contenute non (!) costituiscono sollecitazioni ad investire.

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