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lunedì 25 ottobre 2010

Da Basilea e ritorno.




Cosenza (Italy), 25 Ottobre 2010

Ripropongo di seguito l'articolo da me preparato lo scorso mese di Settembre, con considerazioni sul tema Basilea III, crisi dei mutui e bolla speculativa internazionale.
Avevo scritto l'articolo nell'immediatezza del nuovo accordo preliminare su Basilea III, e lo avevo inviato a numerose testate nazionali perchè potese fornire la base per scrivere articoli "informati".
Poichè finora questo articolo non ha ricevuto alcun riscontro, ritengo non valga la pena più aspettare, e per questo motivo ho deciso di pubblicare sul mio blog l'articolo in questione, confidando sul fatto che nella rete potrà trovare l'adeguato apprezzamento di studiosi e curiosi dell'argomento.

Questo articolo spiega le relazioni tra crisi economica mondiale e introduzione dell'accordo internazionale di Basilea II. La tesi centrale di questo articolo è che nè Basilea II nè Basilea III risolvono i problemi che sono alla causa dell'attuale crisi economica mondiale.

Cosenza, 14 Settembre 2010 - Quando nel 2006 l’accordo di Basilea II entrò ufficialmente in vigore dopo anni di accesi dibattiti, la comunità internazionale alla fine lo salutò come uno strumento in grado di rendere i mercati più stabili e sicuri. Nel 2007 tuttavia, a distanza di solo un anno, l’accordo di Basilea II già mostrava molti limiti e veniva da più parti indicato tra le principali cause della bolla speculativa internazionale, tanto da rendere necessario cominciare a parlare di un Basilea III.
Eppure, già all’epoca della sua introduzione in molti non mancarono di evidenziare elementi di criticità, per via di alcune importanti novità introdotte nella prassi aziendale ma anche per motivi di grande apprensione, come la possibilità di valutazione degli investimenti in base al valore di mercato (“fair value”) al posto del più prudenziale costo storico, e la ridefinizione delle riserve patrimoniali in funzione del giudizio espresso da un rating, cosa che comportava la necessità di un maggior capitale da destinare a riserva per quegli investimenti giudicati più rischiosi.
Nelle intenzioni tutti elementi nati per dare una più chiara rappresentazione del valore economico dei bilanci; nella pratica, essi stessi elementi generatori di rischio sistemico nel mercato. Così, quando Wall Street imparò a nuotare all’interno del set di regole, conseguenza inevitabile fu la rapida diffusione di strumenti finanziari complessi, conosciuti come OTC (Over-The-Counter) e CDOs (Collateralized Debt Obligation). Né deve stupire che l’esplosione di popolarità di questi titoli derivati mostri un significativo tempismo con l’entrata in vigore di Basilea II: infatti, la finalità di entrambi è ridurre il profilo complessivo di rischio, cosa che nei titoli derivati è stata resa possibile spostandone l’onere sui sottoscrittori mediante i cosiddetti titoli collaterali.
Conseguenza inevitabile di tale esigenza è stata dunque la creazione di strumenti finanziari volti a garantire adeguati livelli di redditività con un minore profilo di rischio. Ciò ha tuttavia portato, senza volerlo, al paradosso che un titolo, la cui solidità viene garantita da un rating e la cui solvibilità è certificata da uno stato sovrano, richiede l’iscrizione a bilancio di una minore quantità di riserva di capitale rispetto ad un altro investimento non egualmente certificato e, pertanto, reputato meno affidabile.
Apparentemente un vuoto esercizio di parole, ma in realtà causa di profonde conseguenze reali, poiché piuttosto che dare credito al piccolo imprenditore desideroso di espandere la propria linea di produzione, le banche trovano meno rischioso investire in un titolo complesso immesso sul mercato da qualche intermediario finanziario in giro per il mondo, che peraltro non ne sopporta nemmeno il rischio in prima persona.
Con Basilea II la rischiosità di un attivo patrimoniale viene stimata non sulla base di criteri intrinseci all’attivo stesso, ma in base a caratteristiche apparenti come la previsione di flussi di cassa, il rispetto di criteri patrimoniali e finanziari, oltre che una grande quantità di informazioni qualitative e quantitative della vita d’impresa, che confluiscono in complessi modelli Value-at-Risk per essere stimati.
Tutto dunque nel pieno rispetto di criteri prudenziali regolamentati da norme internazionali, eppure qualcosa non ha funzionato, altrimenti non si spiega come mai giganti del calibro di Lehman Brothers sono falliti anche se i loro titoli continuavano ad avere il massimo rating AAA, mentre veri e propri relitti come Fannie Mae e Freddie Mac continuano a operare sul mercato nonostante i miliardi di titoli in portafoglio e con un rating inferiore alla soglia minima di “investment grade”, solo perché protetti dal governo statunitense sotto forma di “Government-Sponsored Enterprise” (GSE).
Forse nessun problema di “finanza creativa” è alla base dell’attuale crisi internazionale, ma piuttosto un tentativo di regolamentazione che si è rivelato disastroso, ed una falsa speranza, basata sulla preferenza stabilita a tavolino per determinati tipi di investimento piuttosto che altri.
Per arginare la crisi in atto occorrerebbe chiedersi se il problema risiede nella misurazione del rischio o forse, più a monte, nella corretta definizione di cosa è il rischio stesso. Infatti, per quanto raffinati possano essere i modelli Value-at-Risk utilizzati, essi tralasceranno sempre di dirci che gli strumenti OTC e CDOs hanno un rischio intrinseco connaturato alla loro funzione specifica. Così, la rischiosità dei titoli OTC non deriva tanto dal fatto di essere costruiti su operazioni aleatorie come gli swap, quanto piuttosto dal fatto che trattandosi spesso di contratti non standardizzati e ritagliati sulle specifiche esigenze delle controparti, essi sono difficilmente rivendibili sul mercato anche in condizioni normali. Lo stesso dicasi per i CDOs, la cui rischiosità è data dal fatto che non è l’ente emittente (la banca) a sopportare il rischio, ma l’acquirente stesso del bond (il risparmiatore), il quale deve sperare che un soggetto terzo (il sottoscrittore di un mutuo ipotecario) sia in regola con i pagamenti della rate del proprio mutuo, se vuole che il proprio titolo abbia ancora valore.
Guarda caso, l’attuale crisi finanziaria internazionale si è innescata proprio quando questi titoli derivati sono diventati improvvisamente illiquidi per inadempienza del debitore ipotecario collaterale che ha perso il proprio lavoro magari per motivi legati alla decisione dalla propria azienda di de localizzare internazionalmente la propria produzione.
L’accordo di Basilea II ha dimostrato di non prevedere per nulla il verificarsi di questo tipo di scenario, nella convinzione che questi titoli avrebbero trovato in ogni caso un mercato.
Neppure l’accordo di Basilea III sembra risolvere questi problemi, ma al contrario propone come soluzione l’ulteriore aumento dei requisiti di riserva patrimoniale delle banche, e la regolamentazione di ulteriori aspetti della vita d’impresa che Basilea II aveva tralasciato. Così, nel calderone delle nuove regole finiscono un raddoppio degli indici di capitalizzazione patrimoniale Tier 1 Capital Ratio al 4% e del Core Tier 1 Capital Ratio al 2%, ma anche la costituzione di riserve speciali cicliche ed anticicliche per prevenire future crisi.
Poiché nel corso dell’attuale crisi anche le azioni e le obbligazioni governative hanno mostrato segni di sofferenza ad essere scambiati, in futuro le banche saranno chiamate a trattenere liquidità e profitti come modo preferenziale per soddisfare i più stringenti criteri patrimoniali d Basilea III, e a limitare la distribuzione di dividendi (autofinanziamento), come parte necessaria di questo processo.
L’aumento dei coefficienti patrimoniali è volto a impedire che le banche concedano crediti che alla lunga si rivelino troppo rischiosi, e tuttavia nulla viene detto a proposito di quei titoli di credito collaterali che sono rischiosi già nel loro concepimento, i quali potranno invece continuare a circolare liberamente sul mercato.
In ogni caso, rimane aperta la domanda se le nuove regole finiscano per “ingessare” o no le decisioni operative delle banche. Al riguardo, ritengo che alcune considerazioni siano indispensabili: se in generale è vero che un’adeguata liquidità è uno dei prerequisiti per la solidità dei bilanci, ciò tuttavia potrebbe non risolvere il vero problema di fondo dell’attuale normativa internazionale, ovvero quello di cosa costituisce il patrimonio netto. Se le banche infatti potranno continuare a valutare i loro bilanci al valore di mercato, e se gli intermediari finanziari potranno immettere sul mercato titoli di cui non sono responsabili, un semplice aumento di riserve patrimoniali potrebbe non essere sufficiente per impedire l’amplificazione di effetti prociclici. Basilea III sembra orientata a richiedere la costituzione di maggiori riserve bancarie, dimenticando tuttavia che molti di questi strumenti finanziari collaterali sono stati posti legittimamente fuori bilancio, poiché chi li immetteva sul mercato non se ne assumeva il rischio.
Inoltre, se è certamente vero che l’attuale crisi finanziaria ha mostrato come la carenza di liquidità in molti paesi sia stata causata da ridotti flussi di capitali a livello internazionale, ciò non sembra un motivo sufficiente per adottare misure di ritenzione di liquidità, che finirebbero per ridurre l’estensione dei mercati stessi e far arroccare le banche su posizioni di “autosufficienza” di liquidità.
Occorrerà riflettere bene su questi aspetti prima della presentazione ufficiale di questa bozza in occasione del prossimo G20 in programma a Seoul il prossimo Novembre. Se infatti l’obiettivo è il prevenire l’avanzata della prossima crisi, il costruire mura sempre più alte a difesa del patrimonio bancario potrebbe rivelarsi un esercizio inutile, se ciò può poi essere facilmente aggirato nel pieno rispetto dei vincoli normativi.

AGGIORNAMENTI

Martedi 26 Ottobre 2010

Bloomberg 26 Ottobre "King Says Banks Need More Equity to Avoid Debt ‘Achilles Heel’": Il Governatore della Banca d'Inghilterra Mervyn King ha sostenuto durante una conferenza a New York, che le regole di Basilea III non riusciranno a prevenire una nuova crisi e che il sistema bancario non dovrebbe essere fortemente basato su debito di breve termine per finanziare investimenti di lungo termine. Se la logica è quella di aumentare la dotazione di capitale proprio, allora occorrerebbe richiedere livelli di capitale di molto maggiori rispetto alle attuali proposte di discussione.
Questo il passaggio fondamentale dell'articolo: "Regulators are redesigning the global financial system to withstand shocks after the collapse of Lehman Brothers Holdings Inc. in 2008 exacerbated the financial crisis. While the Basel III banking rules agreed last month are “a step in the right direction,” they won’t prevent another crisis and authorities should consider “very much higher” capital levels, King said".

Giovedi 18 Novembre 2010


Interessante l'articolo Bloomberg di ieri 17 Novembre dal titolo "Banks in EU May Be Exempted From Basel Leverage Ratio (Update1)". In esso si sostiene che alcune nazioni EU27 starebbero negoziando esenzioni alle regole di Basilea 3 per le banche, poichè si tratterebbe di coefficienti eccessivi che non impedirebbero (anzi, incoraggerebbero) l'assunzione di maggiori rischi pur di ottenere i margini di capitalizzazione richiesti da quella che dovrebbe diventare la nuova normativa internazionale.
Di seguito un passaggio-chiave: "Banks in Europe may escape global rules designed to limit their debt, as several countries push the European Union to drop a so-called leverage ratio, two people close to the discussions said. [...]. A majority of nations in the 27-country EU oppose introducing a binding leverage ratio that was adopted last week by the Group of 20 countries, according to the people, who declined to be identified because the discussions are private. The countries, including Sweden and France, say the ratio might encourage banks to pursue risky activities, the people said. “The leverage ratio as it is currently constructed is a rather blunt instrument,” Rob McIvor, a spokesman for the Association for Financial Markets in Europe, said in a telephone interview. “It does not take into account different institutions’ business models or structures.” The G-20 adopted measures proposed by the Basel Committee on Banking Supervision, including the leverage ratio, to increase the amount of capital that banks hold to protect themselves from insolvency. The rules must be implemented by individual countries or EU directives. The U.S. never implemented a previous set of Basel rules. The leverage ratio is a “key element” of the package because it will act as a “safeguard” against attempts by banks to get around other requirements linking the amount of capital they must hold to the level of risk associated with their assets, the Basel committee said last month".

Matteo Olivieri
Le informazioni qui contenute non (!) costituiscolo sollecitazioni ad investire.

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